PARLO TANTO, TROPPO – PARLO POCO
- lorizzonte1
- 20 lug
- Tempo di lettura: 4 min

"Parlo tanto, troppo." "Parlo poco."
Quante volte abbiamo sentito persone dire questo di sé stesse? Oppure noi stessi ci sentiamo di rientrare in una di queste casistiche.
Ma vi siete mai domandati se si tratti semplicemente di caratteristiche che connotano la persona – da cui la famosa espressione: "Sai, è così di carattere" – oppure se ci sia dietro qualcosa di più?
Oggi voglio parlarti di questo "qualcosa di più".
Quando una persona parla tanto o parla poco, la prima cosa da osservare sono proprio il tanto e il poco: quantificatori indefiniti e graduali, spesso relativi/comparativi. A questo punto la domanda da farsi, o da fare, è la seguente: "Tanto o poco per chi, e secondo che cosa?"
Ecco perché si tratta di quantificatori indefiniti, relativi e comparativi. Quando parliamo di tanto e di poco sembra che ci muoviamo in qualcosa di certo e certificabile, ma in realtà siamo nel generico e quindi molto relativo; inoltre sembra che stiamo facendo un confronto con qualcun altro che giustificherebbe il tanto o il poco.
Da qui nasce la domanda:
"Rispetto a chi e a che cosa?"
Le domande, nella relazione d'aiuto e nella crescita personale, sono strumenti fondamentali e potenti per attivare un processo che porta a un cambiamento profondo. Infatti, c'è un'espressione che ritengo renda molto l'idea in questo senso:
L'intelligente ha le risposte giuste; il saggio ha le domande giuste.
Ma torniamo alla domanda: "Poco o tanto secondo chi e che cosa, e rispetto a chi e che cosa?"
Sicuramente secondo chi in quel momento lo sta affermando e secondo un suo percepito legato a una struttura di personalità; esperienze proprie dalle quali si sono generate convinzioni, credenze e condizionamenti originati da vari ambienti: familiare, sociale, culturale, religioso, scolastico, sportivo... A questo punto siamo già in una dimensione personale e quindi soggettiva, che non appartiene a quella che in molti chiamano realtà oggettiva.
La persona cosiddetta ipercomunicativa o ipocomunicativa non è tale in quanto nata così, ma – anche in questo caso – in funzione di svariati elementi interni ed esterni che la condizionano in una direzione piuttosto che in un'altra (ambiente familiare, esperienze personali, vissuti forti a impatto traumatico), che vorrei esplorare in questo articolo.
A volte accade che parlo tanto perché, quando ero piccolo/piccola, ho imparato che solo quando parlavo molto, o addirittura alzavo la voce, ricevevo una qualsivoglia forma di attenzione. Oppure, al contrario, quando parlavo poco suscitavo preoccupazione, che a sua volta è una forma di attenzione.
Parlo tanto o poco perché replico un modello familiare legato a un contesto nel quale si parlava poco o tanto; oppure compenso in funzione di quanto ho vissuto, letteralmente "respirato" in famiglia: "I miei genitori parlavano talmente poco che io ho bisogno di rompere questo schema, questo modello comportamentale che mi ha generato disagio."
Potrebbe essere che parlo poco perché non sento di avere qualcosa di importante da dire, qualcosa di valore e degno di essere espresso. Questo ha a che fare con il valore di sé e l'autostima, cioè con il valore che io riconosco a me stesso/a.
Parlo tanto per riempire uno spazio di relazione che mi genera imbarazzo o soggezione; o, per lo stesso motivo, finisco per parlare poco.
Parlo tanto perché ho associato alle poche parole o al silenzio una situazione di conflitto, e il parlare è come scongiurare che questo conflitto sussista realmente. Possono essere situazioni legate all'infanzia, dove il bambino o la bambina viveva litigi tra i genitori che manifestavano il disagio, il disaccordo o il disappunto attraverso il silenzio.
Parlo poco perché sono in una dinamica di relazione dove l'altro, senza accorgersene, tende a sovrastarmi; questo mi blocca, mi intimidisce, mi scoraggia, anche in funzione di un senso di inferiorità.
Parlo tanto per far fronte a un disagio interiore generato dalla paura di far vedere una parte di me che temo possa essere giudicata sbagliata o socialmente non gradita (timidezza, insicurezza...); o, al contrario, parlo poco per lo stesso motivo: non far trapelare troppo di me, soprattutto parti che potrebbero essere ancora una volta oggetto di giudizio e sfociare nella non accettazione della mia persona.
Parlo tanto per scaricare una tensione interna che può originare da tanti fattori diversi fra loro. Da qui la famosa “diarrea verbale”, espressione figurata usata per descrivere una persona che parla senza pause, non lasciando spazio all’altro di intervenire e soprattutto senza badare se l’interlocutore sia coinvolto o meno.
Parlo tanto perché al tanto ho associato un concetto di qualità ed efficacia: "Se parlo tanto, ottengo."
Può essere invece che sia cresciuto/a in una famiglia dove uno o entrambi i genitori hanno avvalorato l'idea secondo la quale parlare molto è sinonimo di sapere: "Hai sentito quanto parla? Quel tizio la sa lunga." Oppure, al contrario, parlare poco è segno di autorevolezza: "Quell'uomo ha detto poche parole ma giuste."
In tutti questi casi – e non sono tutti, perché potremmo elencare molte altre motivazioni a sostegno del perché ci sono persone che parlano poco e altre che parlano tanto – vediamo come l'aspetto del condizionamento sia sempre presente. Ogni nostro pensiero, parola, azione poggia su come siamo stati condizionati nel passato e su come abbiamo reagito a questi solleciti: la vita, che è in sé e per sé un sollecito all'evoluzione.
Ma a essere condizionabile – e condizionata – è la nostra mente, che ci rende esseri governabili, misurabili e prevedibili. Per questo dobbiamo lavorare per ritrovare la nostra natura vera e autentica, che non è quella di parlare troppo o poco, ma una natura libera di essere nell'equilibrio e nell'armonia: elementi nei quali ritrova sé stessa attraverso una comunicazione riarmonizzata.
Quanto detto fin qui non è certo esaustivo di tutto ciò che riguarda il misterioso e immenso mondo della psiche umana; desidera però darvi spunti di riflessione per spaziare quando si desideri comprendere noi stessi e gli altri, sospendendo il giudizio – quell'ombra che cala spesso nelle relazioni e chiude le infinite strade verso un noi più sano, equilibrato e armonico.
Ti ci sei ritrovato, ti ci sei ritrovata? Se anche solo un passaggio ti ha toccato e senti il bisogno di approfondire lavorando su te stesso/a e sul tuo modo di comunicare, contattami: insieme troveremo la misura della tua voce e la strada verso la migliore espressione del tuo essere.
Con amore,
Laura Monza



Laura le tue riflessioni sono assolutamente centrate ed io le condivido pienamente.
Ho sempre creduto che tutto é soggettivo e relativo. La nostra comunicazione é il risultato dell’ambiente che ci ha influenzato.
A scuola ci hanno insegnato a ripetere…ma mai a comunicare. Siamo stati tutti coperti da etichette inutili e inquadrati in categorie !
Chiediamoci il perché?
La grande sfida é liberarci da ció che non ci appartiene per recuperare la nostra armonia primordiale., che é la nostra vera voce ✨✨✨